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giampiero vigorito
Giampiero Vigorito
La prima biografia italiana di un genio della musica
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Copertina Libro Bacharach

BURT BACHARACH
THE BOOK OF LOVE
NELLA VITA E NEI RICORDI DEL PIÙ GRANDE GENIO DEL POP
AUTORE: GIAMPIERO VIGORITO
EDITORE: CONIGLIO EDITORE
COLLANA: SOUNDCHECK
PAGINE: 240 con due inserti di foto a colori
PREZZO: Euro 16,50

 

Estratti del libro

LA COLLABORAZIONE CON ELVIS COSTELLO...
Già negli anni Ottanta, Elvis Costello aveva fatto una splendida versione di “Baby It’s You”, pubblicata come bonus track di “Goodbye Cruel World” e inserita in un disco di inediti chiamato “Out Of Our Idiot” e di molti altri dischi antologici. Per lui era una specie di messaggio in una bottiglia. Più bottiglie affidava all’oceano che ci separava, più possibilità c’erano che io ne venissi in possesso e mi accorgessi del suo talento. La sua versione di “Baby It’s You” la trovavo davvero di grande impatto emotivo, oltre che molto gratificante per me. Nel ‘95 ricevetti la richiesta della regista Allison Anders di unirmi proprio ad Elvis Costello per scrivere una canzone per la colonna sonora del suo film Grace Of My Heart. Accettai subito, anche se il fatto che io vivessi a Los Angeles ed Elvis facesse il pendolare tra Londra e Dublino non facilitava molto il nostro compito. Sentii che la mano invisibile del destino e tutti quei messaggi in bottiglia erano stati i padrini accidentali del nostro incontro e che io non potevo che accettare la proposta. Così Elvis, che teneva tantissimo a questa collaborazione, non dovette strapparsi i vestiti di dosso per convincermi ad accettare la sfida. Il nostro metodo di lavoro era alquanto inusuale. Per comunicare a distanza, sfruttando anche il diverso fuso orario, Costello faceva in modo che ogni mattina trovassi registrate nella mia segreteria telefonica le linee melodiche della canzone. Io le ascoltavo attentamente e gli rispondevo inviando via fax lo spartito con gli sviluppi e gli arrangiamenti. Questa spola transoceanica è andata avanti per qualche passaggio, poi ci siamo parlati al telefono e abbiamo suonato qualcosa su delle tastiere giocattolo in modo che il suono passasse attraverso la cornetta. Alla fine è uscita fuori “God Give Me Strenght”, una stupefacente ballata che suonava come un mio vecchio classico. La voce e l’impostazione melodica di Elvis si legavano meravigliosamente ai miei arrangiamenti. Dopo quella complessa trafila telefonica da un capo all’altro dell’oceano atlantico, come in un lentissimo rito zen, sgorgarono in un botto i sei minuti epici di questa canzone. Prima di quel momento non avevo realizzato si trattasse di un brano pronto per le nomination dei Grammy Awards. Fu quando finimmo di registrarla che mi accorsi della sua bellezza. Era come un pezzo di teatro, un breve film distillato al rallentatore su una melodia con delle spiccate caratteristiche europee. Quando mi ero incontrato con Costello mi aveva raccontato che, proprio per richiesta della stessa regista, aveva pensato di ricatturare lo spirito di qualche mio pezzo classico come “Don’t Make Me Over” o “Anyone Who Had A Heart”. Personalemte erano diversi anni che non mi cimentavo con un tipo di scrittura del genere. Da un punto di vista musicale mi risultava piuttosto difficile tornare indietro e dire «Ok, adesso resetto tutto e mi metto a scrivere un pezzo come “Alfie” o qualcosa del genere». Ma c’era in ballo un film sulla storia del Brill Building e io mi sentivo totalmente coinvolto. La pellicola raccontava i fuochi d’artificio e gli schianti fallimentari legati alle grandi stagioni di quel palazzo di cui avevo conosciuto ogni angolo. Lì erano condensate tutte le apprensioni, le attese, le gioie, le frustrazioni di quei ragazzi che avevano deciso di trovare un mezzo per appropriarsi della propria creatività. Lì erano brillate le fiammelle artistiche di tutti i suoi ferventi condòmini. Lì si erano consumate le vite delle giovani matricole iscritte a quell’Università della musica chiamata Brill Building.

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