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giampiero vigorito
Giampiero Vigorito
La prima biografia italiana di un genio della musica
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Copertina Libro Bacharach

BURT BACHARACH
THE BOOK OF LOVE
NELLA VITA E NEI RICORDI DEL PIÙ GRANDE GENIO DEL POP
AUTORE: GIAMPIERO VIGORITO
EDITORE: CONIGLIO EDITORE
COLLANA: SOUNDCHECK
PAGINE: 240 con due inserti di foto a colori
PREZZO: Euro 16,50

 

Estratti del libro

QUELLA SERATA CON DIONNE WARWICK...
A completare quel balzo nei ricordi arrivò il momento di Dionne Warwick. Lo spettacolo andava avanti già da un bel pezzo, così le cadute emotive della mia voce, mascherate dall’insorgere della stanchezza, si sarebbero fatte notare di meno. Dionne, con la sua eleganza, entrò come un lunghissimo fenicottero di una razza sconosciuta. Io quasi non riuscivo più a parlare. Un paio di vene stavano affiorando dalla mia fronte come un bassorilievo greco. Cosa potevo dire ancora per introdurre per la milionesima volta la mia Dionne. Lei mi raggiunse al piano e si sedette al mio fianco. L’elegante sgabello scuro del pianoforte era diventata la panchina di un parco per l’ennesimo incontro romantico di due vecchi amanti incalliti. Dopo esserci sussurrati delle parole che non sapevo neanche da quale parte del cuore provenissero, lei mi carezzò la mano con affetto, come a proteggermi. Sembrava ancora una volta forte e risoluta; come quando aveva sdegnosamente respinto “What The Worlds Needs Now”. Invece il suo gesto, per una sensazione ormai consolidata nel tempo, trasmetteva una tenerezza disarmante. Poco prima di rialzarsi in piedi cominciò a scandire il suo balletto vocale. Il fenicottero aveva ripreso il suo volo leggero, scivolando tra le sete colorate di “Walk On By”, “I Say A Little Prayer” e “Do You Know The Way To San Jose?”. Un medley che sembrava una seduta psicanalitica. Una sorta di viaggio introspettivo fra i tre momenti esemplari della nostra relazione artistica. L’ultimo, “Do You Know The Way To San Jose?”, rappresentava il dubbio di Dionne: per molti anni quella non era stata tra le sue canzoni preferite. Il secondo mostrava il rapporto di forze a parti invertite. Quando avevo ascoltato la sua versione di “I Say A Little Prayer” mi sembrava deludente. Credevo di aver sbagliato. Di aver giocato troppo sulle accelerazioni del ritmo. Ma “Walk On By” era la nostra pace. L’altare davanti al quale avevamo recitato la promessa di fedeltà reciproca. Quando l’avevamo registrata la prima volta non riuscivo a capire quanto fosse innovativa. Sapevo che era speciale, ma non riuscivo ad andare oltre. Era stata una seduta di registrazione particolare. Ero entrato in studio che avevo la febbre molto alta. Tutto quello che è successo in quella sala sembrava la danza primitiva di una tribù di batteri che scuotevano l’aria per trasmettere l’angoscia di un pericoloso contagio. Da allora anche Hal David rimase letteralmente stregato dalla voce di Dionne Warwick. «Ormai, quando scrivo un testo, non posso fare a meno di sentire la sua voce nell’orecchio», mi confidò proprio in quei giorni. Anche quella sera Dionne cantò in maniera magica. Mi venne in mente quello che aveva riferito John Bowers in un suo lungo articolo del ’71, quando lei era all’apice della carriera. Riportava il commento di un giornalista francese che aveva scritto: «La voce di Dionne Warwick fa pensare a tante cose all’interno della stessa canzone. Mi vengono in mente un anguilla, un temporale, una culla, un mucchio di alghe marine, un pugnale. La sua non è una semplice voce, ma un organo o uno strumento grafico con cui disegna delle figure a piacimento».

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